IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
    Visti gli atti del  procedimento  penale  a  carico  di  Evstifeed
 Doriano, imputato del delitto di omicidio colposo
 (art.  589  del c.p.) in danno del fratello Evstifeed Ivan, dal corpo
 del quale, a' sensi della legge 2 dicembre 1975, n. 644, erano  stati
 espianti numerosi organi, successivamente trapiantati prima che fosse
 accertata   la  cessazione  totale  di  ogni  attivita'  vitale,  nel
 frattempo  in  parte  riscontrata  esistente,  sia  pure  dovendo  il
 mantenimento di essa attribuirsi all'ausilio delle macchine;
    Vista l'istanza dell'imputato di definizione del giudizio a' sensi
 degli  artt.  444  e  563  del  c.p.p.  in  data  5  luglio 1993 e la
 successiva adesione del p.m. in data 7 luglio 1993;
    Vista le ulteriori istanze scritte del p.m. in data 4 e 6  ottobre
 1993, rinnovate oralmente all'odierna udienza in camera di consiglio,
 di  sospensione  del giudizio e successiva rimessione degli atti alla
 Corte costituzionale per  il  giudizio  incidentale  di  legittimita'
 costituzionale  dell'art.  589  del  c.p. per omessa correlazione del
 precetto penale di cui a  tale  fattispecie  incriminatrice  speciale
 alla ricordata legge n. 644/1975, essendo rimasto immutata la nozione
 di  morte  di  cui  al precetto penale nella sua originaria accezione
 naturalistica-biologica,  mentre  attualmente  non  solo  la  moderna
 scienza medica ma anche la legge ad esso hanno sostituito una nozione
 evidentemente  diversa,  nozione  che  implica  ovviamente, come gia'
 detto, la  possibile  sussistenza  (sia  pure  assistita)  di  alcune
 attivita'  biologiche,  come  la  permanenza del battito cardiaco, la
 circolazione sanguigna e  la  respirazione;  si'  che  non  potendosi
 "aggiornare"  la  nozione  di  "morte"  di  detto  precetto in via di
 analogia interpretativa, interdetta come e' noto all'interprete nella
 materia penale, e neppure potendosi superare nella stessa materia  il
 principio  della  responsabilita' personale, si appalesava necessaria
 la rimessione degli atti  alla  Corte  costituzionale  per  contrasto
 della  norma  di  cui  all'art. 589 del c.p., nell'interpretazionenon
 conforme  alla  legge  n.  644/1975,  con  gli  artt.   25,   27   ed
 eventualmente 3 della Carta costituzionale;
    Udito il difensore dell'imputato;
    Ritenuto  che  il  procedimento  di  applicazione  della  pena  su
 richiesta delle parti si conclude con una condanna sui generis, che -
 prescindendo dai profili intrinsechi al merito  della  imputazione  e
 della  responsabilita'  dell'imputato  -  si  fonda  su  una  duplice
 delibazione: positiva, nella parte  in  cui  accetta  la  correttezza
 della    qualificazione    giuridica    dell'addebito   (nonche'   la
 applicabilita'  delle  circostanze  e  dei  benefici  richiesti)   e,
 negativa,  nel  punto  in cui esclude ipotesi di non punibilita' e di
 estinzione del reato (Cassazione penale,  sezione  quinta,  21  marzo
 1991, Cass. pen. 1991, II, 624);
    Ritenuto  inoltre  che nel procedimento di applicazione della pena
 su richiesta, il raggiungimento dell'accordo vincola irrevocabilmente
 entrambe le parti, sicche' la revoca  unilaterale  o  bilaterale  del
 consenso  prestato  e'  priva  di  ogni efficacia (Cassazione penale,
 sezione terza, 8 novembre  1991,  Foro  it.  1992,  II,  537  (nota);
 Conforme:  Cassazione penale, sezione sesta, 27 aprile 1991, Foro it.
 1992, II, 158);
                             O S S E R V A
    1. - Su un primo profilo di ammissibilita' dell'eccezione.  Rileva
 questo giudicante come in fatto la cessazione di ogni funzione vitale
 della persona offesa, in una parola la morte biologica dell'Evstifeen
 Ivan,  non  sia  ricollegabile eziologicamente in modo diretto ad una
 specifica condotta dell'imputato, si'  che  -  sussistendo  tutte  le
 altre  condizioni  di  legge  -  ma  non  il  requisito  del nesso di
 causalita' tra condotta ed evento (dovendosi  all'evidenza  ascrivere
 detta  cessazione  all'azione pur conforme a legge dei sanitari), mai
 comunque potrebbe affermarsi la penale responsabilita' dell'imputato.
 Conseguentemente, ove la "morte" di cui al precetto penale  in  esame
 dovesse  essere  solo quella naturalistica, cui solamente si riferiva
 il  legislatore  del  1931,  anno  di  emanazione  del codice penale,
 dovrebbe farsi luogo a pronuncia a' sensi dell'art. 129 del c.p.p., e
 l'imputato assolto con la formula per non aver commesso il fatto.
    Ove invece l'evento "morte" dovesse essere inteso  estensivamente,
 fino  a  ricomprendere  anche  i  casi  in  cui  - pur essendo ancora
 sussistenti alcune funzioni vitali  (battito  cardiaco,  circolazione
 sanguigna,   respirazione,  ecc.)  sia  pure  assistite  dall'ausilio
 tecnologico moderno - la morte biologica non sia ancora sopraggiunta,
 ma sussistono le condizioni di cui poi si dira' e di cui  all'art.  4
 della  legge  2  dicembre 1975, n. 644, per procedere all'espianto di
 organi, (cosa  che  provoca  ovviamente  -  questa  si'  -  la  morte
 biologica,   cioe'  la  cessazione  di  tutte  le  funzioni  vitali),
 l'eccezione  sarebbe  inammissibile   e   questo   giudice   dovrebbe
 pronunciare  sentenza  ex  artt.  444 e 563 del c.p.p. in quanto ogni
 sospetto di illegittimita' costituzionale della norma  incriminatrice
 in questione sarebbe ovviamente infondato.
    Condivide  il  giudicante  l'opinione  del p.m. che a quest'ultima
 interpretazione non si possa  pervenire  in  via  di  interpretazione
 analogica  (ossia  la  "vita" alle condizioni di cui all'art. 4 della
 legge  n.  644/1975  deve  essere  considerata  agli  effetti   della
 normativa  penale come "morte" naturalisticamente intesa), in quanto,
 come e' gia' stato detto, nella materia penale vige il  principio  di
 stretta  legalita' (Nullum crimen nulla poena sine previa lege) (art.
 25, secondo comma, della Costituzione).
    Concludendo   la   disamina   sul   punto,   va   osservato    che
 l'irrevocabilita'  dell'accordo  sulla  richiesta  di  pena, alla cui
 formazione ha pure concorso il p.m. con il suo assenso alla  relativa
 proposta    dell'imputato,    non   e'   di   ostacolo   a   ritenere
 l'ammissibilita'   della    eccezione,    e    conseguentemente    la
 sospensibilita'  del  giudizio di merito onde rimettere gli atti alla
 Corte costituzionale, in quanto e' incontroverso a)  che  l'art.  129
 del  c.p.p.  impone  al  giudice, in ogni stato e grado del processo,
 dunque anche nel caso di applicazione di pena su  concorde  richiesta
 delle  parti,  sussistendone  le  condizioni  di  legge,  l'immediata
 declaratoria di improcedibilita' o assoluzione nel merito  e  b)  che
 l'accordo  stesso  delle  parti (anche sul titolo del reato) non puo'
 impedire la verifica della correttezza della qualificazione giuridica
 del fatto da parte del g.i.p.
    2.  -  Secondo  profilo  di  ammissibilita':  la   rilevanza.   La
 prospettata  questione di legittimita' costituzionale sembra a questo
 giudice rilevante  ai  fini  del  decidere,  posto  che  se  la  tesi
 prospettata della non estensibilita' del precetto di cui all'art. 589
 alla  condizione di "quasi morto", o di "ancora in vita" del soggetto
 passivo del reato e di cui all'art. 4 della legge n.  644/1975  fosse
 ritenuta  fondata,  la Corte dovrebbe affermare l'incostituzionalita'
 della norma nella parte in cui non prevede la punibilita' del reo nel
 caso in cui il medesimo ponga la persona offesa nelle  condizioni  di
 cui  al piu' volte citato art. 4 della legge n. 644/1975. E' evidente
 che se la Corte, condividendo l'assunto  esposto,  pronunciasse  tale
 statuizione, questo giudice dovrebbe pronunciare sentenza ex art. 563
 del  c.p.p., mentre invece, se l'eccezione venisse respinta, a questo
 giudice non resterebbe che emettere sentenza ex art. 129  del  c.p.p.
 oppure  procedere,  nel giudizio pretorile, a norma dell'art. 562 del
 c.p.p., in caso di erronea qualificazione giuridica del reato.
    3. - Il merito dell'eccezione.
     A)  Come  e'  noto nel delitto di omicidio l'evento e' costituito
 dalla morte di una persona e la dottrina ha  a  lungo  affermato  che
 l'enunciazione   della   sintomatologia   dalla   quale  desumere  la
 cessazione della vita umana e' compito della scienza medica e non  di
 quella  giuridica  (ovviamente  la soluzione di tale problematica poi
 non e' priva di  ulteriori  effetti  giuridici  secondari,  rilevanti
 anche per il diritto penale processuale, posto che la morte determina
 il luogo e il momento consumativo del reato).
    Con l'estendersi delle pratiche di rianimazione e dei trapianti di
 organi   umani   ai  tradizionali  concetti  di  morte  clinica  come
 "esalazione dell'ultimo respiro",  "arresto  del  battito  cardiaco",
 "morte   cerebrale",   quest'ultima  ("decerebrazione")  sembra  aver
 assunto valore preponderante nei confronti degli altri due, una volta
 constatato che questi si potevano  impedire  artificialmente  piu'  o
 meno  a  tempo indeterminato. Non e' mancato che ha ritenuto di dover
 distinguere la morte dell'organismo umano dalla morte  dell'individuo
 umano,  soggetto  giuridico  avente  diritto  a  vedersi riconosciuta
 garanzia di dignita' di  persona  anche  oltre  la  morte.  Il  mondo
 scientifico   tuttavia   non  sembra  aver  assunto  posizioni  ormai
 definitive e convergenti su tal punto, tant'e' che sulla  nozione  di
 morte  non manca che afferma che e' da preferirsi una nozione legale,
 normativamente  imposta,  ad  una  nozione  scientifica  che   appare
 sfuggente e plurivalente.
    Tornando  al  caso  che  ne occupa, ai fini penalistici non sembra
 occorra  rimettere  alla  scienza  medica  la  soluzione   se   debba
 qualificarsi ancora in vita o meno un uomo che respiri e il cui cuore
 ancora  batta o se, ad ogni effetto o limitatamente ad alcuni effetti
 giuridici,   in   presenza   di   determinate   condizioni   previste
 normativamente,  egli  debba  essere  ritenuto  morto  o,  forse piu'
 precisamente, "come se fosse morto". Infatti  la  finzione  giuridica
 puo' sussistere solo nel mondo del diritto, non certo in quello della
 scienza,   nel  quale  la  nozione  di  morte  non  puo'  che  essere
 naturalistica, nel senso di cessazione  di  ogni  condizione  vitale,
 respiratoria,  cardiaca, cerebrale, condizione che precede unicamente
 la decomposizione del corpo e il suo ritorno indistinto alla  natura.
 Sicche'  la problematica in argomento, posta in essere dalla legge n.
 644/1975, sembra appartenere tutta ed  esclusivamente  all'interprete
 del diritto.
     B)  L'art.  3  della  legge n. 644/1975 disciplina il prelievo di
 parti di cadaveri  ("persona  deceduta")  e  detta  le  modalita'  di
 accertamento  della  morte da parte del collegio medico appositamente
 incaricato, in esecuzione di un preciso protocollo.
    Il successivo art. 4 (ed e' questa la norma che  qui  maggiormente
 interessa)  afferma  che  nei  soggetti  affetti da lesioni cerebrali
 primitive e sottoposti a rianimazione "la morte si  verifica"  quando
 venga riscontrata la contemporanea presenza delle seguenti condizioni
 tassativamente elencate: 1) coma profondo; 2) assenza di respirazione
 spontanea,  dopo  sospensione  di  quella artificiale, per due minuti
 primi; 3) assenza  di  attivita'  elettrica  cerebrale,  spontanea  e
 provocata.
    Ora  e'  di  tutta  evidenza che la morte di cui all'art. 4 non e'
 quella di cui al precedente articolo, se il legislatore ha  avvertito
 l'esigenza  di  formulare  un'apposita disposizione fornitrice di una
 nozione di essa, sia pure ai fini dell'espianto. L'art. 3 infatti non
 fornisce  alcuna  nozione  di  morte  ma  detta  norme  limitatamente
 all'accertamento (naturalistico) di  essa.  l'art.  4  invece  sembra
 imporre  all'interprete  una  nozione di morte, quando afferma che la
 stessa si verifica con il concorso  delle  enunciate  condizioni,  ed
 essendo  irrilevante  (ma non al fine di conservare vitali gli organi
 trapiantandi³) il mantenimento artificioso  della  respirazione,  del
 battito  cardiaco  e  conseguentemente  della circolazione sanguigna.
 Tale nozione legale di morte tuttavia non esaurisce tutti i  casi  di
 morte   onde,   sembra  ovvio,  mancando  una  o  tutte  delle  dette
 condizioni, si ricade nell'art. 3 dove - come detto - si prescrive un
 protocollo di modalita' di accertamento di una morte naturale.
    L'affermazione "la morte si verifica" contenuta  nell'art.  4  non
 essendo  l'esposizione  di  una  nozione  della  scienza medica, (che
 sebbene orientata a privilegiare la morte cerebrale appare in realta'
 ancora incerta e dubbiosa) sembra piuttosto una fictio juris  operata
 dal legislatore, da leggere come segue: "un soggetto nelle condizioni
 previste   in   cui   battito   cardiaco,  circolazione  sanguigna  e
 respirazione assistita ancora siano presenti  si  considera  come  se
 fosse   morto".  Cio'  ovviamente  secondo  valutazione  biologica  e
 naturalistica, che e' l'unica  alla  quale,  a  sommesso  parere  del
 giudicante, la norma incriminatrice in esame puo' fare riferimento.
    D'altra  parte  la finzione giuridica di cui alla norma non sembra
 avere  portata  generale,  con  effetti   giuridici   estensibili   a
 piacimento,  ma  appare  dettata  al  limitato scopo di consentire il
 lecito espianto di organi destinati al  trapianto  umano.  Ma  se  e'
 cosi'  esisterebbero  due  ragioni  per  opporsi  ad  una  estensione
 analogica del precetto penale di cui  all'art.  589  del  c.p.:  una,
 derivante  dalla  specialita' della norma, destinata ad operare negli
 angusti limiti dell'accertamento della "morte" per fini di  trapianto
 e,   l'altro,   come   gia'   accennato,  derivante  dal  divieto  di
 interpretazione  analogica  delle  norme   incriminatrici   speciali,
 sanzionato dalla Corte costituzionale.
     C)  Nella fattispecie Evstifeev Ivan dal punto di vista biologico
 era in vita nel momento del ricovero ospedaliero, lo era nel  momento
 in  cui  e'  stata  accertata  la  sussistenza  delle  condizioni che
 consentivano l'espianto, e tale era (sia  pure  con  l'ausilio  delle
 macchine)  anche  nel  momento in cui, successivamente, iniziarono le
 operazioni di espinato (vedansi i relativi verbali in atti).  Non  e'
 chi  non  veda  che  fu  con  tali  operazioni che cessarono tutte le
 funzioni biologiche vitali, naturalisticamente valutate.
    Sicche', coerentemente con la tesi esposta,  all'imputato  avrebbe
 dovuto  correttamente essere contestato il delitto di lesioni colpose
 gravi  e  non  gia'  quello  di  omicidio  colposo,  aggravato  dalla
 violazione  delle  norme  sulla circolazione stradale. A quale titolo
 poi verrebbe attribuita all'imputato la morte del  congiunto  non  e'
 possibile  dire,  se  non  facendo  ricorso al concetto (storicamente
 superato ed oggi inaccettabile) di responsabilita'  oggettiva,  posto
 che  come  gia'  accennato  manca  nella  fattispecie un collegamento
 eziologico diretto fra la condotta  dell'imputato  e  l'evento  morte
 della persona offesa dal reato.
    Quest'ultimo,   paradossalmente,   potrebbe   essere  ascritto  al
 concorso di una causa sopravvenuta di natura  del  tutto  eccezionale
 (espianto lecitamente operato dai sanitari), idonea forse addirittura
 ad  escludere  in  capo  all'imputato il nesso di causalita' a' sensi
 dell'art.  41  del  c.p.,  se  proprio  si  volesse individuare nella
 condotta dell'imputato una condizione dell'evento. Infatti, sia  pure
 in  forma  assistita, "la vita" dell'offeso avrebbe potuto continuare
 per  un  tempo  piu'  o  meno   lungo,   ricollegabile   soltanto   o
 principalmente  al  distacco  del  corpo dagli apparecchi (la cronaca
 tuttavia ha riferito talora di casi in cui, avvenuto detto  distacco,
 "la  vita"  e'  continuata  spontaneamente per ulteriori apprezzabili
 periodi di tempo).
    In conclusione, l'art. 589 del c.p., interpretato nel senso che il
 precetto  penale  nello  stesso   contenuto   si   estende   sino   a
 ricomprendere  la  nozione  di morte di cui all'art. 4 della legge n.
 644/1975  sembra  contrastare  con  gli  artt.  3,  25  e  27   della
 Costituzione:  con  il  primo  articolo  in  quanto irragionevolmente
 assoggetta a medesima sanzione penale fatti diversi; con  l'art.  25,
 in  quanto  l'interpretazione  stessa  sarebbe  consentita  solo  per
 analogia;  con  l'art.  27,  in  quanto  la  stessa   interpretazione
 contrasterebbe    con   il   principio   della   personalita'   della
 responsabilita' penale.